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mercoledì 28 maggio 2008

26 Maggio 2008 - MOSTRA DI PITTURA DI ANTONELLA REALE - EXTRAFID SA - LUGANO (CH)

E X T R A F I D

presenta

"LA STIRPE DI ANDROS"

di

Antonella Reale


Amava ripetere Pablo Neruda che non riusciva ad usare parole diverse, da quelle usate nelle sue poesie. E non riusciva a spiegarla con altre parole. E aggiungeva. Quando si spiega la poesia diventa banale. E’ l’emozione che suscita in ognuno di noi che diventa poesia.

Ed un altro grande poeta, Giuseppe Ungaretti, sosteneva: “Alla poesia nuoce perfino la carta sulla quale viene stampata”.

L'emozione, dunque, che assume la grandissima capacità di trasformare in poesia le nostre pulsioni, i nostri stati d'animo.

Penso che lo stesso principio valga anche per l’arte, in genere. E per la pittura in modo particolare.

Non sono un critico d’arte. Ma un amico di Antonella.

Quindi cercherò di usare le parole, le immagini, i paradossi, le metafore che in me suscitano queste opere.

Anche i giudizi sono quasi figli di un conflitto di interessi. Data la lunga amicizia che mi lega ad Antonella Reale.

Una giovane pittrice che è nata, vive ed opera in Sicilia.

Una Terra in cui tutto è forte: dalle metafore ai paradossi, dal sole ai colori, dall’azzurro del mare a quello del cielo, dai cromatismi dell'arcobaleno ai miti e ai personaggi che, nei millenni, l’hanno attraversata.

Un dato biografico che mi ha aiutato non poco a comprendere questa splendida mostra.

Queste opere della “Stirpe di Andros” che vengono da lontano, anche se parlano linguaggi a noi vicini. Linguaggi figli di saperi che hanno arricchito la storia dell’Uomo.

Quanto lontano? Da quando l’uomo, questo “Andros”, compare sulla terra a testimoniare una stirpe che si trascina dietro i suoi affanni e le sue gioie; i suoi tormenti e i suoi desideri; i suoi dolori e le sue utopie.

Così antico e così moderno.

Non è l’unico paradosso che attanaglia la vita degli “Andròs” isolani. Sia quelli siculi sia quelli dell’isola greca delle Cicladi. Da dove ha origine la parola Andrea, “Uomo”. Nome che noi occidentali usiamo indistintamente sia per gli uomini che per le donne.

Ho avuto il privilegio, qualche decennio fa, di vedere le prime opere di Antonella Reale. E di seguirne, nel tempo, il suo percorso, la sua evoluzione, le sue perplessità e, a volte, qualche sua insoddisfazione.

Antonella Reale ha il piglio dell’artista, dell’intellettuale disposto a rimettere in discussione, al mattino, tutte le certezze della sera precedente.

Ha imparato gli alfabeti, le grammatiche e le sintassi della pittura. Ma soprattutto ha imparato a comprendere i disagi dell'Uomo, la sua storia tormentata ed il ruolo che la storia ha assegnato agli artisti nel testimoniare il Tempo che non appartiene ad epoche specifiche. Ma attraversa l' esistenza dell'uomo attraverso i secoli, attraverso i mellenni.

La sua opera non ha pretese di dare risposte. Al contrario pone domande, sempre più inquietanti.

Ho potuto cogliere, nel suo lavoro, l’atto dell’attività creativa dell’artista, una forma di poiesi, che infonde nelle opere tutta quella spiritualità, al limite della poesia, che è la parte più tormentata degli “Andros”, di questi figli dell'Umanità, nel loro produrre, nel loro fare.

Una dicotomia, materia e spirito, che Antonella Reale affronta in una sorte di reificazione, quel processo mentale mediante il quale a concetti astratti viene assegnata consistenza di cose concrete.

E la paura dell’artista, ma soprattutto di Antonella Reale, è il processo di spersonalizzazione del lavoro dell’uomo che corre il rischio di essere identificato con gli oggetti prodotti.

Di ridurre, non solo le opere prodotte, ma se stesso, a merce del mercato. La paura dell'artista che gli “Andros” si identifichino con i “Robot” che hanno creato, senza amore, senza emozioni da vivere e da comunicare. E’ la paura di un cambiamento antropologico, che già percepiamo nelle masse indistinte di queste figure smarrite, separate da muri, da fili spinati o, semplicemente, dall’anonimato individuale in mezzo ad una folla anonima ed indistinta.

Ci sono precedenti, nel campo dell’arte e della letteratura.

Fernand Léger, ad esempio, dopo essersi accostato agli impressionisti e ai divisionisti. Dopo esser stato affascinato dalla pittura di Cézanne, dal 1920 in poi, attraverso tubi, cilindri, ingranaggi, dischi, raffigura i simboli della moderna civiltà industriale. E l’uomo smarrito ridotto a meccanismo. Uno dei tanti.

E subito dopo, Chaplin, con quel memorabile capolavoro di “Tempi Moderni” consegna all’umanità la reificazione completa dell’uomo trasformato in oggetto.

E Antonella Reale, in un altro ciclo, non meno interessante della “Stirpe di Andros”, ha saputo realizzare opere che si identificano nei quattro grandi elementi naturali: la terra, l’acqua, il fuoco ed il vento. Un’esplosione di colori. Una festa cromatica che è alla base di ogni sua opera.

Il rosso. Sembra essere stato trasportato dalle viscere del vulcano, dal magma dell’Etna, che presiede l’orizzonte della Città dove viviamo, Antonella ed io.

Il viola, in ogni sua tonalità, a testimoniare, paradossalmente, la delicatezza del fiore e il colore del cielo al tramonto nell’avvicinarsi della notte, il dolore funereo dei paramenti sacri che la Chiesa sfoggia nelle tristi circostanze.

Il giallo a ricordarci il tramonto del granoturco, prima della messe, in autunno, quando anche le foglie degli alberi si tingono di questo colore.

Quanta tristezza, quanta angoscia possiamo leggere nel contenuto narrativo di questa Mostra. Quante domande si pone e, soprattutto, ci pone questa giovane artista. Certo la sua, o la mia, non è una posizione neutra. Non è uno stare a guardare, un rifugiarsi nei meandri dell’indifferenza. Quanto piuttosto una “fantasmagoria in presa diretta”, direbbe lo scrittore brasiliano Jorge Amado. E per rimanere in questo parallelismo letterario, da una rilettura di queste opere di Antonella Reale, possiamo cogliere il desiderio di quella Teresa Batista, bellissima figura di una bellissima favola di Jorge Amado, che continua a dire di essere stanca “della guerra”. Così come i personaggi, gli “Andros” delle favole di Antonella, sembrano chiedere un’uscita di sicurezza dall’isolamento, dalla “sicilitudine”, siciliana e cosmica, di cui tanto ha scritto il nostro Leonardo Sciascia. E all'arte, alla condivisione universale delle problematiche degli Andros le opere di Antonella Reale offrono una speranza per uscire da quella condizione dei personaggi di “Cent’anni di solitudine”, di cui si è occupato, un altro grande scrittore dell’America Latina, Garcìa Màrquez.

Buona lettura e grazie per l'attenzione.

Lugano, 26 maggio 2008

Rosario Antonio Rizzo



LA GALLERIA

La Galleria d'Arte della Extrafid, creata nell'ottobre 2001 con l'unico intento di promuovere l'arte e far conoscere a clienti ed amici giovani artisti emergenti , accoglie ogni tre mesi nei propri spazi Extrafid, un nuovo allestimento con nuove opere, selezionate dalla direzione della società, con la consulensa dell'artista Marino Gabusi.


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