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giovedì 10 febbraio 2011

ALFIO PAPPALARDO - CENTRO CULTURALE VILLA DELLE FAVARE, BIANCAVILLA (CT)

DER BLAUE ÄTNA (L’Etna blu)

Ho pensato che chiamare Der Blaue Ätna questo testo potesse essere l’occasione per celebrare, insieme alla prima antologica di Alfio Pappalardo, un anniversario molto importante. Der Blaue Reiter (Il cavaliere blu) si chiamava il gruppo di artisti, costituito da Vasilij Kandinskij, Franz Marc, Paul Klee, August Macke, Alexej von Jawlensky, Marianne von Werefkin che cento anni fa, nel 1911 a Monaco di Baviera, rivoluzionò la maniera di intendere l’arte, in direzione spirituale, astratta, totale.

In quell’esperienza così incisiva, poi bruscamente interrotta dalla prima guerra mondiale, si sanciva quanto la determinazione delle forme artistiche dipendesse esclusivamente dagli impulsi interiori, affermando la necessità di sentire prevalere l’irrazionalismo orientale sul razionalismo artistico occidentale, di lasciare vibrare la musica del colore e l’armonia del segno, negando ogni realismo.

Alle esposizioni di Monaco (alla galleria di Heinrich Thannhauser, prima, e in quella di Hans Goltz, dopo) parteciparono, tra gli altri, Rousseau, Delaunay, Kirchner, Malevič, Picasso, Arp, Braque e il musicista Arnold Schönberg. Si riportava l’interesse all’istinto, all’ingenuità infantile e primitiva nel rapporto con la natura, alla pittura dei bambini e degli alienati, dei naïf e dei popoli orientali.

In occasione della mostra Sizilien in cui, attraverso l’opera di Pappalardo, Germania e Italia si ritrovano, nell’intreccio delle vite, in una storia comune fatta di destini affini e avversi, guerre mondiali e immigrazioni, è possibile ricordare quanto, esattamente un secolo dopo, l’eredità del Blaue Reiter sia ancora attuale.

La pittura di Alfio Pappalardo si mostra istintiva spesso, primitiva a volte, orientale ogni tanto. Il suo bagaglio immaginifico trae impulso dall’infanzia, passata per dieci anni in Germania, dove i genitori emigrarono per trovare lavoro in una cartiera di Obertsrot, nello Schwarzwald (la Foresta Nera), fino al ritorno a Biancavilla (Catania). Un viaggio cromatico a cominciare dalla toponomastica, il rosso (rot) di Obertsrot (il rosso acceso di Senza titolo, 1996, e Fior di notte, 1997), il nero (schwarz) dello Schwarzwald (da cui emergono opere come Mal di luna, 1989, e Le tempeste, 1990), passando per una fitta vegetazione di campi e mutazioni atmosferiche dense di verdi, gialli, arancio, blu (Gelb und rot, 1993; Fichidindia, 2000; Ginestre, 2000; Ferule, 2000; Corvi, 2004; Nove paesaggi, 2007; Isola, 2010), fino al bianco di Biancavilla (Il cielo cade, 2007; Vespro e Meriggio, 2007; EtnagigantE, 2010).

Come EtnagigantE, la vita di Pappalardo è un palindromo, si può rileggere in un senso o nell’altro, dall’infanzia alla maturità e dalla maturità all’infanzia, mentre il suo paesaggio interiore la sovrasta come una Etna che diviene finalmente gigante anche nelle dimensioni delle opere (prima sempre ridotte e ora più ampie).

La montagna è, in ogni momento, più presente del mare (che compare ricorrente solo nell’ultimo periodo) insieme ad alcune barche, pali della luce e case in lontananza di sparute città (Barche, 1990; Fili elettrici, 1990; Panchina, 1990; L’ora del vento, 1990; Ponte, 1997; Città, 2010). L’uomo, davanti al mare (Mann am Meer, 1990; Pioggia, 1992; Nuvola, 1993) e sotto la volta celeste, è portato a fare i conti con l’infinito e i suoi misteri, costretto a chiedersi se il cielo, mentre la terra gira, potrebbe cadere. Le prove della vita ribaltano molte volte il punto di vista, riuscendo ogni tanto a guardare dall’alto, come in volo (Voli, 1990; Il cielo cade, 2007; Nove paesaggi, 2007). La natura è il soggetto prediletto da Pappalardo. L’incontaminata foresta dello Schwarzwald rimane atmosfera nella memoria, dalle vette del massiccio del Feldberg a quella dell’Etna, prevale la montagna vulcano su un’isola (Valanche e Montagna di mare, 2010), prima visione di ogni viaggiatore che approdi alla desiderata Sizilien!

All’inizio, i paesaggi di Pappalardo vengono trasfigurati in chiave quasi romantica, mescolando insieme i bagliori dell’ultimo Turner, le impressioni del primo Monet, i campi di Van Gogh, imprescindibili per chiunque si appresti a sondare una visione più intima della natura in pittura. L’educazione artistica a Catania e l’impostazione accademica ricevuta ad Urbino gli permettono di gestire tecnicamente una visione delle cose già permeata da un’emotività a volte struggente. Carta da scenografia preparata con colla di coniglio e gesso di Bologna. Velature che gli consentono di costruire una profondità spaziale, attraverso una successione di strati, esercizio di luce e pazienza. La predilezione per la carta e per la tavola che mantengono maggiore vita e sorprese rispetto alla tela. Le apparizioni intensificate dalla maestria con cui utilizza fusaggine e gomma pane. Lo studio del colore come materia appreso sotto la guida di Omar Galliani e l’abbandono del figurativo per l’astratto. Sono alcuni dei passi che accompagnano il suo cammino nel compimento delle opere, il resto lo fanno la sua sensibilità, le paure, le gioie, i dolori, le visioni d’altrove.

La natura è dappertutto, in noi e fuori di noi; esiste solo una cosa che non è completamente natura ma piuttosto superamento e interpretazione della natura: l’arte. Il ponte verso il regno dello spirito, scriveva Franz Marc qualche tempo prima di morire, in guerra, sul fronte di Verdun. E si avverte già nelle sue parole quello che Vasilij Kandinskij realizzerà appieno, un decennio più tardi, nel periodo dell’insegnamento al Bauhaus, superando ogni riferimento al reale in favore di un’arte astratta in cui vibri il senso spirituale (cfr. Flaminio Gualdoni, Movimenti del Novecento, 2008).

Alcuni paesaggi di Kandinskij dove le montagne sono volutamente blu (Montagna blu del 1908, l’Inverno del 1909 e Il lago del 1910) precedono di poco l’acquerello Senza titolo del 1910 che verrà in seguito riconosciuto come il primo quadro dichiaratamente astratto della storia dell’arte. Blu è anche la copertina dell’Almanacco Der Blaue Reiter che si apriva con un saggio di Marc sui Tesori Spirituali, con disegni, xilografie tedesche e pitture cinesi. Intuendo quanto in Oriente, molto più che in Occidente, il mondo della natura fosse puro e spirituale, e l’arte che lo interpreta definisse forme assunte da qualcosa che esiste senza forma. Secondo lo zen la pittura di paesaggio aiuta chi la contempla a dimenticarsi di sé stesso per entrare in un fluire in cui l’io si dissolve. Il paesaggio è legato al mutare delle quattro stagioni, è la rivelazione della vita in movimento, delle trasformazioni di un sistema ciclico di opposizioni e corrispondenze, della presenza del vago, del vuoto, di punti di vista distanti che comunicano inesauribili diversità (cfr. Alessandra Russo, Pittura Zen: Sesshū Toyō e il Rotolo lungo delle Quattro Stagioni (1420-1506), 2010). Un carattere filosofico ed estetico che ricorre anche nelle ultime opere di Pappalardo. Una poesia di Muso Soseki (cfr. Massimo Morello Lo Zen e l’arte del viaggio, 2002) recita Ogni problema, ogni angoscia, è scomparso dal mio petto, e io gioco pieno di gioia, lontano dal mondo. Per un adepto Zen, non esistono limiti il cielo blu dovrebbe vergognarsi di essere così piccolo. Sembra essere l’ideale traduzione letteraria dell’opera Senza limiti del 2007.

La natura è dimensione vitale, essenziale, elementare, per questo attrae costantemente l’uomo. Gli orientali sono stati i primi a comprenderlo. Fan Kuan, pittore cinese del X secolo, aveva scritto I pittori antichi traevano la loro ispirazione da ciò che essi osservavano della Natura. Invece di tenere d’esempio i vecchi maestri, preferirei ispirarmi alla stessa Natura. Invece di ispirarmi alla Natura, preferirei ispirarmi a ciò che è nel mio cuore (cfr. Chen Chih-Mai, Maestri della pittura cinese, 1979). In epoca Tang (618-907), l’artista seguiva tre fasi consecutive d’apprendimento: un periodo di assimilazione delle tecniche degli antichi maestri, un momento in cui tenta la rappresentazione della Natura come si manifesta agli occhi, una terza fase in cui trova l’autoespressione della stessa, seguendo l’intimo istinto e la naturale composizione delle forme. Quanto succede a Pappalardo: dopo l’apprendistato a Urbino e la ricerca della sua peculiarità stilistica, la nuova tappa, affrontata per questa mostra, inaugura la terza fase di un percorso che ancora, certamente, continua.

Del 1911, anno di fondazione del Blaue Reiter, è anche il volume, caposaldo dell’arte moderna, Lo spirituale nell’arte di Kandinskij dove il blu è il colore della spiritualità che risveglia l'umano desiderio per l'eterno. Cento anni dopo, dello stesso blu sono i contorni dell’Etna (Etna blu, 2010), der blaue Ätna, che qualche sera fa, nello studio di Pappalardo, mi ha incantato profondamente.

Mercedes Auteri
Catania, 11 gennaio 2011

Centro Culturale Villa delle Favare
Via Vittorio Emanuele, 124 - Biancavilla (CT)
Orario: lun-ven ore 8-14, martedi e giovedi ore 15.30-18.30
Ingresso libero

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