“Quelli che da vicino potevano apparire come i segni di una lotta, il canto puramente astratto di un’emozione, dopo due passi indietro rivelano il miracolo del volto. I grumi di materia incisi dalle setole del pennello, le lame di colore, le strisce di luce, gli sgocciolamenti diventano sguardo, viso, bocca spalancata nel canto, talvolta anche strumento musicale, così fuso nel corpo da apparire come una sua parte viva, pulsante e inscindibile dal resto. I grandi del Jazz – da Louis Armstrong a Miles Davis e B.B. King – e poi John Lennon, Neil Young, Jimi Hendrix, Mick, Jagger, Kurt Cobain emergono dal bianco dello sfondo come visioni.”… Alessandra Redaelli …“L’utilizzo della luce diviene importante, per non dire fondamentale; una luce che è sempre e comunque presente nella sua apparente assenza, una luce che è nel dna così mediterraneo di Andrea, quella luce forte, intensa ed abbagliante che fa dolere lo sguardo e non permette di mettere a fuoco correttamente gli oggetti, quella luce che si infrange sul reticolato delle serrande e dei bancali per evidenziare il pulviscolo. per trovare nuova forma in una sostanza interrotta ritmicamente. Ed è proprio da questa luce che sembrano emergere, eroici, i volti di Cantieri, volti che hanno nomi e cognomi ma che sono, come si è visto, reiterati tentativi di autorappresentazione.
Anche il ready made è un tentativo di narrazione autobiografica: la scelta dei materiali, l’utilizzo di gusto vagamente dada del collage, che sa di adolescenza, di diario segreto, serve sostanzialmente a narrare qualcosa di sé. Il dato che sorprende maggiormente è la sensazione che, per quanto tenti di parlare di sé, tenti di mostrarsi, Cantieri cerchi, al tempo stesso, di nascondersi, cerchi di dare più risposte possibili, per scongiurare ulteriori domande. Vi è un qualcosa di enigmatico che si cela dietro il lavoro di Andrea, in bilico tra un controllato desiderio di raccontarsi e il pudore che scaturisce dalla sensazione di essersi eccessivamente esposto.
Il dipingere, che è impulso e necessità espressiva intrinseca e indomabile, induce irrimediabilmente anche a mostrarsi e sembra quasi spaventare Cantieri, che delega a sguardi ed espressioni altrui il peso di divenire di pubblico dominio. Lasciamoci, infine, accompagnare da Cantieri nel suo peregrinare dentro e fuori di sé, concediamogli le incertezze e i tentennamenti che il suo pudore impone, rispettiamo la sua intimità che si sforza di violare, diamogli un nome e una definizione, se questo ci rassicura, ma non mettiamo mai fine al suo canto, perché questo sarebbe un errore e ci priverebbe dall’avere il nostro complesso, controverso ed eroico artista, il nostro Ulisse dalle mille risorse.”...
Igor Zanti
(UNDO.net)
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